Gustavo primo re di Svezia, Venezia, Rossetti, 1740

Vignetta Frontespizio
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Antisala nell’abitazione di Ernesto con tavolino e sedie. Sopra il tavolino un vaso dorato.
 
 ERNESTO, ARGENO, guardie
 
 Ernesto
 Venga Ergilda e Dorisbe, indi Learco. (Ad una guardia che parte)
 Argeno
690Padre, sin dove mai
 pensi veder che giunga
 d’un figlio disperato il furor cieco?
 Ernesto
 Penso ch’ei si contenga
 nel fren della ragion. Ch’ei non ardisca
695opporre i suoi pensieri
 al paterno volere.
 Argeno
                                   Invan lo speri.
 Ernesto
 Come!
 Argeno
                Sì, son quell’io che non soffrendo
 di crudel gelosia l’aspro tormento
 volea morto Learco.
 Ernesto
                                       Oh dei! Che sento!
700Dove apprendesti, indegno,
 cotanta crudeltà.
 Argeno
                                 D’amor la forza
 non ha limiti, o padre, ah nel negarmi
 Dorisbe la mia vita
 del mio furor fosti cagion tu stesso.
 Ernesto
705Ma Dorisbe non t’ama.
 Argeno
                                             Un tuo comando
 potea far che mi amasse.
 Ernesto
                                                Orsù m’ascolta.
 Non son qual tu ti pensi
 per te privo d’amor, cela il delitto.
 Spera; chi sa? Learco
710deve sceglier la sposa e se Dorisbe
 quella non è, forse non speri invano.
 Argeno
 Ah se mi serba il cielo
 l’adorata Dorisbe, il mio contento
 potrà far che mi scordi ogni tormento.
 
715   Rendere a me la pace
 forse potrebbe ancor
 sorte felice.
 
    Mi giova lo sperar
 di lieto ritornar,
720che non sarà il mio cor
 sempre infelice.
 
 SCENA II
 
 ERNESTO, indi ERGILDA, DORISBE e LEARCO da varie parti
 
 Ernesto
 Nulla intentato resti
 per il ben, per la pace. (Siede al tavolino)
 Ergilda
                                            Eccomi, o padre.
 Dorisbe
 Signor, son pronta anch’io.
 Learco
725Da Learco che vuoi? (Qual vista? Oh dio!) (Da sé)
 Ernesto
 Figlie sedete; qui, Learco; in pace
 un incontro soffrite
 forse all’alma molesto.
 Ergilda
 (Che sarà?)
 Dorisbe
                         (Che dirà?) (Siedono Ergilda e Dorisbe vicine e Learco presso ad Ernesto)
 Learco
                                                 (Qual punto è questo?)
 Ernesto
730Dacché Cupido impera
 forse produr non seppe
 stravaganze d’amor simili a queste.
 Learco ha il cor diviso
 e per esser fedel diviene ingrato.
735Sono Ergilda e Dorisbe
 infelici rivali; e tutti intanto
 altro frutto d’amor non han che il pianto.
 Viver così mai sempre
 è un continuo morir. Deh risolvete;
740ceda alcuno di voi. Su via, miei cari,
 moderate l’affetto,
 superate il cordoglio.
 Dorisbe
 Io non posso.
 Learco
                           Io non devo.
 Ergilda
                                                    Ed io non voglio.
 Ernesto
 Forsennati che siete,
745continuate a penar. Mira, Learco,
 mira due vaghi oggetti
 degni dell’amor tuo. Potrebbe un solo
 farti felice e, perché due ne adori,
 nella miseria tua ti struggi e mori.
750Indiscrete, mirate
 lui che cotanto amate,
 per voi reso in istato
 di viver mesto e di morire ingrato.
 Se questo è amor, seguite
755l’intrapresa follia.
 Dorisbe
 (Oh tormento!)
 Learco
                                (Oh destino!)
 Ergilda
                                                           (Oh gelosia!) (Da sé)
 Ernesto
 Orsù, vi compatisco. Il so; Learco
 i rimproveri teme
 della bella delusa. E voi temete
760che un atto di viltà sia la cessione
 di un amante sì caro. Evvi un rimedio
 opportuno però. Se il vostro core,
 figli, non è sì forte
 quanto all’uopo si chiede, opri la sorte.
 Learco
765Ma come?
 Ernesto
                      Udite. Io stesso
 di Dorisbe e d’Ergilda
 scritti ho i nomi distinti. Eccoli; in questa
 urna son chiusi. Or tu, Learco, in essa
 poni la man pietosa,
770tranne sol una e quella fia tua sposa.
 Che risolvi?
 Learco
                         Nol so.
 Ergilda
                                        (Spera mio core). (Da sé)
 Sì sì, decida il fato
 dove amore non può.
 Dorisbe
                                         Non fan contrasto
 al consiglio d’Ernesto i pensier miei.
775(Assistetemi voi, pietosi dei). (Da sé)
 Learco
 No no più non ascolto (S’alza)
 le ripulse del cor. Già del mio affetto
 arbitro rendo il ciel. Dorisbe, Ergilda,
 oggi ad una di voi
780Learco spiacerà. Ma Ernesto, il regno,
 il popolo, il dover, tutto m’astringe
 al momento fatale. In testimonio
 chiamo i numi del vero. Ecco, la mano
 stendo di già... Ma dov’è l’urna? Oh dio!
785Non la discerno più. Trema la terra,
 vacilla il piè. S’abagliano le luci.
 Non ho cor, non ho voce. Ah m’ha tradito
 la mia costanza. Amici,
 questa che in me si vede
790viltà forse vi sembra e pure è fede. (Siede)
 Ernesto
 Così tosto perdesti,
 Learco, il tuo valor?
 Learco
                                       Deh per pietade
 non tormentarmi più.
 Ernesto
                                           Via, che rissolvi?
 Learco
 Non so... Vorrei... ma il ciel... ma, se la sorte...
 Ernesto
795Che vorresti Learco?
 Learco
                                         Oh dio! La morte.
 Ernesto
 Orsù dunque m’udite;
 sarà la man d’Ernesto
 ministra del destin. Già traggo...
 Learco
                                                             Ah ferma. (S’alza trattenendogli il braccio)
 Potria la mia presenza
800l’esito funestare. I miei trasporti
 non sono in mio poter. Deh, se t’aggrada
 un periglio vietar, lascia ch’io vada.
 
    Stendi poi la mano ardita (Ad Ernesto)
 che decide del mio fato;
805non mi chiami crudo, ingrato
 chi di voi mi perderà.
 
    E la misera tradita
 dalla sorte sua nemica
 non m’insulti e non mi dica
810ch’io peccai d’infedeltà.
 
 SCENA III
 
 ERNESTO, ERGILDA, DORISBE
 
 Ernesto
 Tosto diam fine all’opra.
 Di un mal che già si prova
 reca pena maggior quel che si teme;
 ed è la dubbia sorte
815il tormento maggior di chi ben ama.
 Ecco ch’io già nell’urna
 pongo la destra. Siano
 testimoni del caso i vostri lumi.
 Ergilda, Dorisbe a due
 L’affetto mio vi raccomando, o numi.
 Ernesto
820Dorisbe. Ha già deciso (Cava il nome)
 a tuo favor la sorte.
 Dorisbe
 (Oh felice momento!)
 Ergilda
                                           (Oh inique stelle!)
 Ernesto
 Ite, amici, a Learco. A lui reccate (Alle guardie)
 che Dorisbe è sua sposa e a Dalecarlia
825ch’ella è la sua regina. A caso il fato
 in Dorisbe non opra. Oggi saprete
 di qual sangue ella sia. (Partono le guardie)
 Ergilda
                                             Padre, sì lieto
 nelle sventure mie? Questo mio pianto
 non ti muove a pietà?
 Ernesto
                                           Detesta ormai
830questo del sesso tuo debol costume,
 se ti distingue, Ergilda,
 dalle donne vulgari
 il tuo senno, il tuo volto, il tuo natale,
 deh non mostrarti alle più vili eguale.
 
835   È viltà cotesto pianto;
 del dover trappassa i segni.
 Il mio sangue almen t’insegni
 la virtù di tolerar.
 
    Tu dovresti per tuo vanto
840rammentar che sei mia figlia
 e d’un padre che consiglia
 il comando interpretar.
 
 SCENA IV
 
 ERGILDA e DORISBE
 
 Dorisbe
 Quanto, misera Ergilda,
 compatisco il tuo duol...
 Ergilda
                                              Togliti ormai
845dalla presenza mia. Fuggi da questa
 disperata rivale. Ah se più resti
 a lacerarmi il core,
 farò...
 Dorisbe
              Di’, che farai?
 Ergilda
 Farò quel che mi detta il mio furore.
 Dorisbe
 
850   Pensa chi sei, chi sono,
 guardami in volto e poi
 parla così se puoi,
 tenta di minacciar.
 
    Io destinata al trono,
855tu mia soggetta sei,
 pensaci e i sdegni miei
 tanto non provocar.
 
 SCENA V
 
 ERGILDA sola
 
 Ergilda
 Ah che più non comprendo
 né ragion né dover. Già trasportarmi
860sento dall’ira mia. Sì morir deggio.
 Morrò, sorte spietata,
 ma non da vil, ma non invendicata.
 
    Armata di sdegno,
 nemica di pace,
865l’indegno mendace
 saprò fulminar.
 
    È troppo l’affanno
 che m’occupa il petto,
 tiranno l’affetto
870mi fa delirar.
 
 SCENA VI
 
 Salone apparato per l’incoronazione di Learco, con trono.
 
 ERNESTO, LEARCO, DORISBE, popolo
 
 Ernesto
 Vieni, Learco, al soglio,
 il popolo consola; egli è impaziente
 di vedere il suo re. Ma pria la destra
 porgi alla sposa.
 Learco
                                Oh fiere
875immagini d’Ergilda! (Da sé)
 Dorisbe
                                          Oh dio! Sì mesto,
 Learco, in sì gran giorno?
 Così accogli la sposa? Ah dove sono
 le tue dolci parole, i sguardi, i vezzi?
 Amante ti piacea, sposa mi sprezzi?
 Learco
880Deh non temer Dorisbe
 cangiato in me l’amore, anzi paventa
 della costanza mia...
 Ernesto
                                       Tempo è ch’io sveli
 qual sia Dorisbe. In essa
 riconosci, o signore...
 
 SCENA ULTIMA
 
 ARGENO, ERGILDA, soldati armati e detti
 
 Argeno
                                         Amici, udite.
885Sospendete ogni pompa.
 Il popolo non soffre
 contro le patrie leggi
 un ignoto stranier mirar sul soglio.
 Giunse or or da Lubecca
890nunzio di quel Senato. Ei ci assicura
 che Gustavo ancor vive,
 che non è da noi lungi.
 Ernesto
                                            Ah scelerato!
 Comprendo il tuo livor.
 Ergilda
                                             (Trionfi adesso
 l’orgogliosa Dorisbe). (Da sé in disparte)
 Learco
                                           No, non mente,
895Ernesto, il figlio tuo. Vive cotesto
 de’ monarchi svezzesi ultimo germe.
 Giusta è ben la richiesta
 del popolo fedel. Sarà contento.
 Learco cede il trono.
900Regni dunque Gustavo e quello io sono.
 Ernesto
 Che sento?
 Argeno
                        Un mentitore
 può temersi in costui. Dov’è quel foglio
 che di Lubecca i padri
 diero in man di Gustavo? Il nunzio afferma
905necessaria tal prova.
 Learco
                                        Eccolo; in questo
 foglio chiuso è l’arcano; aprilo, Ernesto. (Dà un foglio ad Ernesto che lo apre e legge piano)
 Argeno
 (Misero me!)
 Dorisbe
                            Che fia?
 Ergilda
 (Ecco un nuovo tormento all’alma mia). (In disparte)
 Ernesto
 Sì sì, questo è Gustavo. Il regio impronto,
910i caratteri impressi,
 tutto, tutto conosco, ah che bastante
 prova sarebbe il suo valor. Signore,
 perché fingerti estinto?
 Learco
                                              Acciò il tiranno
 un nemico di meno aver credesse.
915Al mio liberator giurai che solo
 allor m’avrei svelato
 che avessi di mia man l’empio svenato.
 Argeno
 (Precipitò il disegno).
 Ernesto
                                           Oh quante a un punto
 stravaganze inaudite! Errò la sorte,
920nel destinar, signore,
 Dorisbe alle tue nozze.
 (Oh cecità di nostra mente umana!)
 Sappi ch’ella è Clotilde, è tua germana.
 Ergilda
 (Respiro). (Da sé)
 Learco
                       E come teco?
 Ernesto
925Tutto saprai, per ora
 bastiti ch’io tel dica.
 Ergilda
                                        Ecco a’ tuoi piedi
 l’infelice...
 Learco
                      Sì sì sarai mia sposa.
 Clotilde, intendo adesso
 qual era il nostro amor.
 Dorisbe
                                             Tutto non perdo,
930se riaquisto un german.
 Argeno
                                              Può la mia fede (A Dorisbe)
 sperar qualche mercé?
 Dorisbe
                                            Segui ad amarmi.
 Ernesto
 Grazie, superni dei, grazie di tante
 fortunate vicende; e chi mai vide
 serbar con tanto zelo
935ad un gran re la sua corona il cielo?
 coro
 
    S’è cangiata alfin la sorte,
 si placò del ciel lo sdegno;
 in Gustavo il grande, il forte,
 trova pace il nostro regno.
 
 Fine del dramma